mercoledì 23 novembre 2011

Ciao, vecchia casa

Racconto di Brunella Gasperini


Giorgio finì di inchiodare il coperchio di una cassa, e disse: "Vesti i bambini, Gabriella; è ora che io li porti da Gianna. Non voglio averli tra i piedi quando verranno gli uomini".
Gabriella andò a cercare i bambini, che stavano giocando tra le casse e la polvere dei traslochi, nella stanza vicina. "Vestiti, Marco", disse al maggiore. "Papà vi porta da zia Gianna".
"Oh, mamma, volevo vedere il trasloco!".
"Non c'è niente di bello da vedere, Marco. Solo delle casse e dei mobili che vengono caricati su un camion da uomini generalmente molto sgarbati, e tutto è finito". Allacciò il cappottino di Mimma, sistemò il berrettino azzurro sulla liscia zazzeretta color miele, le baciò la punta del nasino e si rialzò. "Verremo a prendervi stasera per portarvi nella casa nuova; contenti? Giorgio, sbrigati a portarli via, qui non fanno che mangiar polvere".

Dalla finestra rimase a guardare Giorgio e i bambini che si allontanavano lungo la squallida strada di periferia; ci voleva quasi un quarto d'ora per arrivare al capolinea del tram, "Se Dio vuole", pensò Gabriella con un profondo sospiro, "l'esilio è finito". Le pareva ancora impossibile che da domani avrebbero vissuto in un appartamento in centro, senza macchie di umidità e calcinacci cadenti, un appartamento al quinto piano di un palazzo nuovo, con caloriferi e piastrelle lucide e grandi finestre coi serramenti in ordine. Era costato anni e anni di sacrifici a lei e a Giorgio, ma infine c'erano riusciti. Mai più avrebbe dovuto percorrere quella strada in mezzo a tisici, incolti prati, mai più avrebbe visto questa brutta catapecchia dove aveva vissuto per dodici lunghi, duri anni.
Con la fronte appoggiata ai vetri, Gabriella chiuse gli occhi e rivide un giovanotto in divisa da sottotenente degli alpini e una ragazza con un mazzolino di fiori d'arancio in mano venire verso la casa...


Sarà solo per poco tempo, tesoro" disse Giorgio infilando la chiave nella serratura."Solo fino alla fine della guerra".
"Sì, Giorgio".
"La guerra non può durare molto: è questione di mesi. Appena sarà finita io tornerò e guadagnerò un mucchio di soldi e ti comprerò un appartamento con tutti i comodi proprio in centro".
"Sì, Giorgio".
Giorgio vinse la lotta contro la serratura arrugginita ed aprì la porta.
Avrei voluto farti fare un bel viaggio di nozze, tesoro, Ma abbiamo così pochi soldi e così poco tempo: solo una settimana... Preferisco passarla in casa nostra: bella o brutta, è sempre la nostra casa, no?".
"Sì, Giorgio".
Smettila di dire "Sì, Giorgio", tesoro: mi sembri una scolara spaventata, Non hai paura di me, vero?".
"Oh, no, Giorgio".
Ridendo Giorgio la sollevò tra le braccia, la baciò piano sulla bocca e passò la soglia."Ciao, moglie", disse mettendola a terra, Lei nascose la faccia contro la tela grigioverde della sua giacca, e rimasero fermi a lungo così, incapaci di parlare: molto felici e molto giovani in quella vecchia, brutta anticamera.


Gabriella riaprì gli occhi e si staccò dalla finestra."Non perdere tempo", si disse. "Hai ancora qualche cosa da fare". Prima di tutto doveva staccare la tenda dal muro del tinello; Giorgio se ne era dimenticato, naturalmente. Gabriella montò sulla scala e cominciò a staccare il corrente di legno che sosteneva la tenda: era una tenda piuttosto sbiadita, che stava a coprire le macchie di umidità che deturpavano il muro. L'avevano attaccata nel febbraio nel '43. durante l'ultima licenza di Giorgio. Con un mezzo sorriso, Gabriella rivide Giorgio in piedi in cima alla scala, armato di martello e scalpello, e se stessa col secchiello della calce in mano e un'espressione scettica sulla faccia...


È semplicissimo.”, disse Giorgio, sottolineando le parole con robusti colpi di martello, "Si fanno dei buchi, si mettono dei tasselli, poi si chiude con la calce, e dopo non c'è che piantare i chiodi".
"Sì, Giorgio.", rispose Gabriella, Ma a lei non sembrava tanto semplice. A ogni colpo di scalpello si insaccava nelle spalle, pensando a Ciccio che dormiva nella stanza vicina; ma il grasso, placido Ciccio di sei mesi era evidentemente un figlio del suo tempo, e nessun fragore aveva il potere di spaventarlo.
"Questa parete è dannatamente dura", disse Giorgio, picchiando sullo scalpello con sempre maggiore violenza. “Devo fare un buco un po' profondo, capisci, se no...".
In quel momento lo scalpello sembrò sprofondare nel burro: preso alla sprovvista. Giorgio perse l'equilibrio e rotolò, insieme ad abbondanti calcinacci, ai piedi di Gabriella, che lasciando cadere il secchio della calce si piegò su di lui, gridando spaventata:
"Giorgio! Ti sei fatto male, caro?".
"No", rispose Giorgio, tirandosi a sedere. "È il muro che si è fatto male".
Gabriella alzò gli occhi: nella parete c'era un enorme buco irregolare, simile ad una grande bocca senza fondo, aperta in una risata sarcastica.
"Oh, Giorgio, che disastro... E lo scalpello dov'è?".
"Dall'altra parte del muro", rispose Giorgio con aria oltraggiata, "In camera nostra, E dal rumore che ha fatto, direi che deve aver fracassato il cristallo del cassettone".
"Oh, nooo...", gemette Gabriella, "Oh, si”, rispose lugubremente Giorgio.
Un angolo della bocca di Gabliella si rialzò leggermente. gli occhi marroni si riempirono di pagliuzze dorate, e un momento dopo, seduti per terra in mezzo alla calce rovesciata, si torcevano tutti e due dal ridere: spettinati, sporchi di calcinacci e completamente dimentichi delle malignità della vecchia casa, della stufa da accendere, dei bombardamenti. della guerra e dell'imminente nuova partenza di Giorgio per un fronte ancora ignoto.


Gabriella staccò il listello di legno e lo lasciò cadere a terra insieme alla tenda, scese dalla scala e si accorse che la porta del tinello, quella che dava sul prato dietro la casa, si era aperta di nuovo: da dodici anni. quella porta insisteva ad aprirsi nei momenti meno opportuni. Non erano mai riusciti ad aggiustarla: era ostinata e dispettosa come una vecchia zitella. Gabriella si avvicinò per chiuderla, e mentre posava la mano sulla maniglia, i suoi occhi divennero fissi e opachi: rivedeva un grembiulino a quadretti bianchi e azzurri immobile sul prato là fuori.


Era piovuto molto, e come al solito l'acqua aveva passato il tetto e ora cadeva sul pavimento della cucina. Gabriella mise Ciccio davanti alla porta del tinello.
"Sta qui buono a guardare fuori intanto che la mamma asciuga di là". Ubbidiente, Ciccio appoggiò ai vetri il suo corto naso di diciotto mesi, e Gabriella tornò in cucina. "Maledetta catapecchia", diceva tra i denti, mentre asciugava per terra. "Quando potrò andarmene di qua...". Non sapeva più niente di Giorgio dal settembre del '43: quasi un anno, ormai. A volte si chiedeva se le loro poche, allegre giornate, le loro poche meravigliose notti fossero state più di un sogno. Doveva guardare Ciccio, per sapere che era stato tutto vero, che avrebbe dovuto essere ancora tutto vero ..
Gabriella posò il secchio nel punto strategico, e l'acqua ci piovve dentro con un allegro suono metallico. "Dovrò. di nuovo andare a cercare un uomo che mi rabberci il tetto", pensò Gabriella rialzandosi sfiduciata. In quel momento sentì gli aeroplani: fischiavano abbassandosi proprio sopra la casa. I bombardamenti erano finiti; mitragliavano soltanto, ormai, e se si stava in casa non c'era pericolo. Ma ogni volta che Gabriella li sentiva fischiare così, i suoi nervi dolevano e le sue orecchie cominciavano a ronzare. Buttò a terra lo straccio e corse in tinello. per togliere Ciccio dalla porta. La porta era aperta. "Si è rotta di nuovo", pensò ottusamente Gabriella, prima di mettersi a gridare: "Ciccio! Ciccio!". Nessuno le rispose, e le gambe non la reggevano più. Le ci vollero diversi secondi per riuscire a muoversi e correre fuori, urlando con una voce che non sembrava affatto la sua: "Ciccio! Ciccio!". Pochi metri più in là, vide il grembiulino a quadretti e la testolina bionda riversa sull'erba umida. Gli piacevano tanto gli aeroplani... "Ciccio! Ciccio!". Stringendolo, scuotendolo e cullandolo, incurante degli aerei che passavano sopra di lei, continuò a chiamarlo. pur sapendo che era morto. Anche quando gli aerei se ne furono andati e la gente cominciò a uscire dalle case, lei continuò a chiamarlo, inginocchiata sull'erba, cieca e sorda alle voci pietose che si affollavano intorno a lei.


Gabriella chiuse la porta con un colpo secco e si passò una mano sulla fronte. Andò in anticamera e aprì la cassapanca, buttando avanzi di stoffe e cianfrusaglie sulla poltrona di vimini zoppicante; non li avrebbe seguiti nella nuova casa, quella poltrona: era troppo brutta e scomoda. Gabriella l'aveva usata molto nei lunghi mesi che erano seguiti a quel terribile mattino, fino al ritorno di Giorgio.


Era un pomeriggio di maggio del 1945: i carri armati dei liberatori passavano sulla strada facendo rintronare tutta la casa. La gente usciva dalle case a festeggiarli, ma Gabriella non si muoveva dalla poltrona dell'anticamera. Non poteva più stare in tinello, perché non poteva vedere quella porta senza aver voglia di urlare, di gettarsi contro i vetri e distruggerla. Non poteva stare in cucina, perché le sembrava sempre di vedere l'acqua che scendeva dal soffitto, di sentire quel rumore sul fondo del secchio, e l'orribile sibilare degli aerei in picchiata. E non poteva nemmeno stare in camera da letto, dove ogni cosa le ricordava Giorgio, Giorgio che non scriveva più, che forse era morto in Croazia e non sarebbe mai più tornato. Gabriella leggeva ostinatamente una rivista, con la tetra indifferenza che metteva ormai in tutte le cose, quando qualcuno aprì di colpo la porta che dava sulla strada. Gabriella alzò gli occhi scontrosi: fermo sulla soglia, pallido e magro nella divisa impolverata, Giorgio la guardava. Lei si alzò rigidamente. ed un momento dopo Giorgio la stringeva tra le braccia mormorando parole rotte e incoerenti, coprendole la faccia e i capelli di grossi. impetuosi baci.
"O Gabria amore... sei qui, sei tu". Inerte tra le sue braccia, Gabriella non parlava. "Ti ho spaventata, amore?", diceva Giorgio, con quella voce che piangeva e rideva insieme. "Avrei voluto avvertirti. ma non è stato possibile. Sono venuto verso di te a tappe, sulla scia dei liberatori. Svegliati Gabriella. Non è un sogno: siamo qui, insieme. e siamo vivi". Lei continuava a tacere, e Giorgio chiese con un sorriso in cui cominciava a nascere la paura: "Hai disimparato a dire "sì, Giorgio", Gabria?".
"Ciccio è morto", gli disse.
"Ciccio", ripeté Giorgio in un soffio. La sua faccia prese un'espressione ottusa, spenta.
"Un mitragliamento. C'erano dei camion. dietro la casa. La porta del tinello si era aperta... Aveva un grembiulino a quadretti bianchi e azzurri".
"Ciccio". ripeté Giorgio. e nascose la faccia sulla spalla inerte di Gabriella. Lei gli passò una mano sui capelli. meccanicamente.
Il dolore di Giorgio, semplice e fanciullesco come ogni cosa in lui, non riusciva a penetrare la nebbia di indifferenza che la separava da tutto; le sembrava di guardarlo da una grande distanza. Sedette sulla poltrona di vimini, si attirò nel grembo la testa spettinata di Giorgio, ma non riuscì a piangere con lui.
"Avremo altri bambini", diceva Giorgio mordendole piano la stoffa del vestito sulle ginocchia. "E cresceranno sani e felici, senza guerra e senza paura".
Lei continuò a carezzargli la testa, ma non disse: "Sì. Giorgio".


Gabriella raccolse in una bracciata avanzi e cianfrusaglie e anelò a buttarli nella spazzatura in cucina. Il lavandino perdeva di nuovo. "Non è più affar mio", pensò Gabriella. "Si può rompere tutto quanto, adesso". Passò una mano sul bordo del lavandino e rivide Giorgio fermo davanti al fornello con un mestolo in mano, in una sera di gennaio del '46.


"Sono le otto", disse Giorgio. rimestando nella pentola senza guardare Gabriella. Lei non rispose. e allora Giorgio si voltò: guardò il suo vestito eccentrico, le ciglia incurvate dal rimmel, la piega arrogante della sua bocca rossa. "Potresti almeno rientrare in tempo per preparare il pranzo, Dove sei stata?".
"Se vuoi fare una scena di gelosia" disse Gabriella, "metti giù il mestolo caro: nuoce terribilmente alla tua autorità".
"Non è una scena di gelosia" rispose Giorgio quietamente. "E qualcuno in questa casa deve pur tenerlo, il mestolo. Se preferisci passare le tue giornate in modo più brillante, non hai che dirlo, e io mangerò fuori: ci sono tanti ristoranti, in città".
"Dovrei starmene tutto il giorno qui?, disse Gabriella guardandosi intorno con odio. "A lottare con la stufa, a guardare questi muri macchiati e queste porte che non si chiudono... Non posso più vivere qua dentro".
"No, eh? Preferisci buttarti nel caos di questo dannato dopoguerra, e fumare sigarette americane, ballare il boogie-woogie. Presto tornerai con le gambe malferme e puzzo di whisky in bocca". Gli occhi di Giorgio, cupi e furiosi, non somigliavano affatto ai chiari occhi fanciulleschi del Giorgio di una volta. "Non dar la colpa alla casa! Hai perso la testa come tutte quelle disgraziate che si dimenano come invasate in mezzo alla feccia di tutti gli eserciti e di tutti i colori, in sudicie stanze piene di fumo e di..."
"Sono sempre meglio di questa casa" disse Gabriella. La mano di Giorgio, rapida e brutale, le calò sulla faccia. Lei si portò le dita alla guancia lentamente, con un'espressione di stupore; poi le sue labbra cominciarono a tremare. "Se l'acqua non fosse caduta da questo soffitto, io non mi sarei allontanata da Ciccio; se quella porta non fosse stata rotta, Ciccio non sarebbe uscito. È la casa che ha ucciso Ciccio!" gridò istericamente."La casa, la casa, la casa!"'.
"Non è stata la casa, Gabria". Non c'era più ira nella voce Giorgio, soltanto stanchezza. "È stata la guerra".
"Ebbene, la guerra è finita, adesso! E io voglio dimenticarla, voglio recuperare il tempo che ho perduto ad accendere stufe, ad asciugar pavimenti, ad ascoltare i fischi degli aeroplani, e le bombe, e piangere mio figlio. Basta, basta, basta! Sono giovane, e voglio rifarmi! Voglio dimenticarla, la guerra!".


"E io", chiese Giorgio, "credi che non voglia dimenticarla? Cosa credi che facessi, io, mentre tu asciugavi i pavimenti e avevi paura delle bombe? C'erano anche al fronte, le bombe. sai; e c'erano i cannoni, e le baionette, e la paura, e gli amici che ti cadevano morti vicino e non potevi fermarti a raccoglierli". Pallidissima, Gabriella lo guardava. attraverso la nebbia: come nei sogni, voleva corrergli vicino e non poteva, voleva chiamarlo e la voce non usciva. "Ciccio era anche figlio mio, sai?", continuò Giorgio. "E io lo amavo, come amavo la mia casa e il mio avvenire vicino a te. Ma anche questo è stato travolto... forse nessuno ha colpa".
Qualcosa, nel petto di Gabriella, si stava gonfiando, come una grande bolla dolorosa; scoppiò, e Gabriella tese le braccia: "Giorgio! Oh, Giorgio, Giorgio...". Ecco, ora lo vedeva bene, i! suo ragazzo, e poteva stringerlo tra le braccia, e piangere e ridere come se solo ora fosse veramente tornato.
"Avremo altri bambini", disse più tardi Giorgio, riposandole sul petto. "E un giorno un'altra casa".
"Sì, Giorgio".


Lentamente Gabriella si diresse verso la camera da letto; c'era ancora il pigiamino di Marco da metter via, e l'orsacchiotto rotto di Mimma. Li chiuse insieme nella valigia, poi sedette sulla rete metallica del letto matrimoniale, appoggiandosi al materasso arrotolato, e guardò quella screpolatura sul soffitto, che tante volte aveva fissato prima di addormentarsi, quando era stanca o preoccupata. Risentì una vocina imbronciata venire dal lettino azzurro a sinistra.


"Mamma, non volevo una sorellina, io", disse Marco sporgendosi dal lettino a guardare Mimma che dormiva placida nella sua culla. come se non avesse appena finito di portare disordine e allarme per tutta la casa con le sue manine devastatrici e la sua vocetta assordante."Volevo un fratellino. Quella lì sa solo strillare e rompermi le cose".
"Crescerà, Marco", lo consolò Giorgio.
"E staremo freschi", disse Gabriella. "Promette di diventare linguacciuta e perversa come una portinaia"..
"Mi piacciono le donne linguacciute", disse Giorgio.
"Questo lo so", rispose acidamente la taciturna Gabriella.
"Quando sarà grande", continuò Marco tornando a distendersi, "vorrà giocare con le bambole e quelle altre stupidate lì, e non vorrà fare la guerra".
"Non vogliamo più guerre, né vere né finte", disse aspramente Gabriella, ma incontrò gli occhi sorridenti di Giorgio, e la sua irritazione si trasformò a un tratto in caldo senso di sicurezza e di pace. Tirò un profondo sospiro e spense la luce. Dal buio la voce assonnata di Marco disse dispettosamente:
"A me la guerra mi piace". Da quello stesso lettino, un paio d'anni dopo, Marco chiedeva: "Ma perché non posso avere il treno elettrico?”.
"Perché costa troppo".
"Il papà guadagna taaanti soldi” disse, in tono da congiurata, Mimma, la linguacciuta. “Me lo so".
"Devono servire tutti per la casa nuova, i soldi", disse Gabriella. "Volete restare sempre in questa casaccia?".
"Non è una casaccia", disse Marco con la voce che tremava. "È la nostra casa".
E Mimma concluse, petulante: "A noi questa casa ci piace '.
E pochi mesi fa, nella stanza debolmente illuminata dalla luce piccola accanto al letto, Gabriella guardava la screpolatura sul soffitto e ascoltava i respiri leggeri dei bambini e quello fondo e tranquillo di Giorgio. "Dorme, lui", pensò con rancore, e lo scosse per un braccio.
"Tu!".
"Eh? Accidenti quando uno è stanco avrebbe diritto di dormire in pace...".
"Sei stanco, eh? Hai avuto tante belle clienti linguacciute, vero?".
"Tesoro", sbadigliò Giorgio, "il mio mestiere mi piace; ma sono proprio le clienti femmine che a volte mi fanno stramaledire i! giorno che sono diventato avvocato".
"Da un po' di tempo", disse lentamente Gabriella, "rincasi molto tardi. Stasera erano quasi le nove. Che cos'hai fatto?".
"Se vuoi fare una scena di gelosia, tesoro", ridacchiò Giorgio che aveva buona memoria, "togliti i bigodini: nuociono terribilmente alla tua autorità".
Con mani tremanti Gabriella si strappò i bigodini insieme ad abbondanti ciuffi di capelli, e li scagliò sul pavimento. Giorgio la osservava: i suoi occhi chiari, nella faccia compunta, ridevano a più non posso. Ridevano di lei, dei suoi bigodini e della sua gelosia. Gabriella si voltò a faccia in giù, martellando il cuscino coi pugni, in un puerile accesso di furia.
"Tesoro", disse la voce di Giorgio."ho trovato l'appartamento: per questo ho fatto tardi. Ho provato a dirtelo a tavola, ma tu eri troppo nera per ascoltarmi". E cominciò a descriverle i locali, la posizione, il prezzo, tranquillamente, come se non fossero dodici anni che lei aspettava questo. "E adesso", concluse, "è permesso a un povero avvocato di dormire?". Ma pochi minuti dopo tornò a voltarsi verso di lei: "Se tu continui a tirar su col naso, tesoro, io non riesco a prender sonno".
"Avresti ragione di farmi le corna", disse Gabriella con voce rotta. "Son diventata una brutta donna, sciatta e stagionata...".
Le dita di Giorgio si infilarono nei suoi capelli, e la sua bocca, carezzandole piano la nuca, l'orecchio. la spalla, disse teneramente:
"A me questa donna mi piace".


Gabriella era ancora appoggiata al materasso, quando sentì il rumore del camion, fuori, e subito dopo la voce di Giorgio che rientrava: "Ci sono qui gli uomini, Gabria. Cominciamo dall'anticamera".
Gabriella si alzò macchinalmente. "Sì, Giorgio", disse. E rimase ferma in mezzo alla stanza, le braccia penzoloni, ad ascoltare le voci degli uomini mescolate a un rumore di casse e di mobili trascinati.
I muri macchiati, le porte sgangherate, le finestre senza tende la guardavano. Bruscamente la gola di Gabriella si chiuse. Al di sopra di quel triste rumore di trasloco, l'anima della vecchia casa maltrattata le venne incontro, con voci e immagini di quei dodici anni. Le candeline accese sulle torte ai compleanni dei bambini, le grida indiane di Marco nel corridoio, gli strilli di Mimma caduta nella vasca quando aveva voluto fare il bucato all'orso di pezza, il rumore delle proprie ciabatte sulle piastrelle della cucina, gli occhi stanchi e l'allegro sorriso di Giorgio, gli alberi di Natale accesi davanti alla tenda sbiadita del tinello, le serate vicino alla terribile stufa, i conti interminabili, i progetti, le discussioni, la loro calda fatica comune. E i loro giovani baci sotto la screpolatura familiare del soffitto.
"Ciao, vecchia casa", pensò Gabriella. "Nessuna casa sarà mai nostra come te. Il meglio di noi rimane qui".
"Gabriella!", chiamò Giorgio. "Abbiamo quasi finito, di qua".
Gabriella non rispose. Fissava una macchia d'inchiostro sul pavimento; l'aveva fatta Marco la prima volta che si era cimentato con penna e calamaio, e per quanto lavasse, Gabriella non era mai riuscita a cancellarla del tutto. Fu quella macchia a darle il colpo di grazia. "Non voglio andar via!", gridò disperatamente dentro di sé. "Non voglio andar via!".
La voce e i passi di Giorgio si fermarono sulla soglia. Addossata al muro, la faccia nascosta tra le braccia, Gabriella piangeva. Giorgio le si avvicinò, scavalcando casse e valigie, e le sollevò il mento con la mano. "Lo so"; le dissero i suoi occhi gravi. "Lo so...".
Le carezzò la testa e disse con forza, come se volesse convincere anche se stesso: "Sono solo quattro muri, Gabria. Capito? Soltanto quattro muri".
Gabriella si asciugò gli occhi e disse faticosamente: "Sì, Giorgio".
Gli uomini cominciarono a portare fuori dalla camera casse e mobili, e infine la casa fu del tutto vuota.
Giorgio prese la mano di Gabriella e la strinse forte. "Andiamo, Gabriella", disse.


Brunella Gasperini

pubblicata su Annabella prima del 1956
(fogli sciolti di vecchie riviste)



grazie ad Elisabeth Palladino dal Brasile! 

4 commenti:

  1. Tenerissimo racconto....il riferimento al suo piccino perso durante i bombardamenti...struggente.
    Grazie per questa "perla"

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  2. Grazie infinite Rossa e Elisabeth!!
    Una vera chicca !
    B. xx

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  3. Non conoscevo nemmeno questo racconto (d'altra parte nel 56 avevo solo 8 anni e non comperavo ancora Annabella)! Mi ha commosso il riferimento al suo bambino morto durante un bombardamento! L'addio alla casa, poi, è stato ripreso in "Siamo in Famiglia"!
    Ciao a tutte

    Cristina (QuellaDiRoma)

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  4. A me ha fatto molta impressione il riferimento al comportamento di quelle disgraziate/disperate dopo la guerra...un qualcosa che molte avranno testimoniato probabilmente...

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