E’ giovedì e piove a dirotto. In libreria hanno messo uno stuoino supplementare appena dentro. I due che mi precedono, lo saltano entrambi. Non c’è il cartello: SALTARE LO STUOINO. Ma non c’è neppure il cartello: PULIRSI I PIEDI. Io, però, se mi mettono davanti uno stuoino, mi pulisco i piedi. Be’, semmai le scarpe. A voler sottilizzare, la suola delle suddette scarpe.
I libri sono in ordine alfabetico per autore e li scorro con gli occhi negli scaffali, da sotto insù e viceversa. Sono arrivata alla I e torno indietro. Alla G ho visto qualcuno o meglio qualcuna. Una vecchia amica: Brunella Gasperini.
Vecchia per modo di dire. I suoi libri grondano giovinezza, c’è tanta voglia di vivere, tanta voglia di ridere con le lacrime agli occhi e di piangere col sorriso sulla bocca. Aveva la facoltà di scrivere cose serie facendole sembrare facezie e di far diventare facezie cose serie. C’è una vena di allegria anche nei capitoli malinconici. Una malinconia allegra. Esiste? Forse no. E allora perché io la sento?
Ci dice che un critico letterario, l’unico che l’abbia letta e recensita con serietà, l’ha definita: “questa singolare scrittrice di romanzi patetici che rivela il suo talento sul versante comico.”
Facendo il gioco del “se fosse” io direi che se fosse un vino, sarebbe un Brachetto. Dolce con un retrogusto amarognolo. Se fosse una scrittrice - come in effetti è - direi, anzi dico, che è Brunella Gasperini.
L’ho letta postuma, per caso, attratta da un titolo, come a volte succede. E dopo aver letto quel primo libro, ho comprato gli altri
Ed è proprio quel primo libro che lessi anni fa, che adesso prendo dallo scaffale: “Una donna e altri animali” .
Non dobbiamo farci confondere dal titolo. Gli “altri animali” non sono solo i cani, i gatti e gli uccelli che abbaiano, miagolano e volano nella trama del libro, che, di primo acchito, può sembrare un po’ sconclusionato. E’ un altalenare tra presente e passato, quadretti di come siamo e di come eravamo. Ci sono i figli, c’è il “compagno della sua vita”, urlatore cronico, ci sono il padre, la madre, i fratelli, il nonno, le zie, insomma c’è una vita che si snoda intrecciandosi ad altre vite, brulicante di aneddoti, storie e storielle, buffe e tragiche, allegre e tristi. Così com’è la vita stessa che non è mai del tutto buffa e non è mai del tutto tragica, non è mai sempre allegra e non è mai sempre triste. E’ semplicemente la vita.
Uno di questi altri animali a due gambe, è il proprio direttore. I direttori cambiano, si sa, vanno e vengono con la facilità di funghi che spuntano nel periodo autunnale. Era lei che restava sempre lì, alla mercé del direttore di turno.
A pag. 8 sta dicendo al direttore di turno che non se la sente di fare interviste, non è una giornalista, ma una scrittrice, e lui le impone: «E allora scriva.»
Dice bene, lui. Mica facile, scrivere. Davanti a un foglio banco, ci si blocca. Si scrive una frase, la prima, tipo: Il primo cane della mia vita... e si fanno ghirigori con la biro in attesa della seconda. E la testa si riempie di ricordi dolce-amari.
Sul muro accanto al tavolo, che istoriava di graffiti, scrisse: E’ DURO DOMARE UNA SCRIVANIA.
Ma poi riscriveva su un foglietto: Il primo cane della mia vita..., e rifaceva ghirigori, la mente persa nei ricordi.
Li amava, i cani. Svisceratamente, direi. I figli erano “gattari”. Come me. “Gattara” dalla punta dei piedi alla punta dei capelli.
Tra gli animali a due gambe, spicca il Nero Veloce. Il suo medico e amico, chiamato così perché, fin dai tempi dell’università, entrava in un bar chiedendo “un nero veloce”. La tacciava di essere ipocondriaca. Lo era. Le faceva bigliettini rassicuranti promettendole anni di vita. Le chiedeva: Ma vuoi vivere per sempre?
No. Per sempre no. Abbastanza. E quant’è abbastanza? Giusto: quant’è?
In casa sua, vigeva il caos. Figli con la chitarra, amici dei figli con altre chitarre, urla del compagno della sua vita che non sopportava le chitarre, cani che abbaiavano, gatti che le saltavano addosso, saltavano sul tavolo e sulla macchina per scrivere, il merlo indiano o gracula religiosa, che, uscito dalla voliera, si piazzava sui mobili e cantava.; “Scacciati senza polpa - gli anarchici van via.” Ci aveva perso le ore per insegnargli a dire colpa, ma niente da fare. Poveri anarchici, pure senza polpa. .
In quel caos, lei ci viveva, ci lavorava seduta al suo tavolo, davanti a quella macchina per scrivere, e tutti le rompevano il filo.
Ma come faccio a scrivere?, diceva a tutti e a nessuno.
Scrisse sul muro: NON ROMPETEMI IL FILO.
Un filo fragile, aggrovigliato, che le sfuggiva di continuo.
Poi si è corretta. Rompetemi tutti i fili che volete, ma non rompetemi quel filo là.
Il filo della vita alla quale era abbarbicata.
Scrisse sul muro: LA DONNA SI E’ ROTTA, SIAM PRONTE ALLA LOTTA, da cantare sull’aria di Fratelli d’Italia. Se aggiungeva un punto interrogativo, diventava: SIAM PRONTE ALLA LOTTA?, frase sulla quale si poteva riflettere a lungo. Erano gli anni settanta, femminismo o no, le lettrici che le scrivevano avevano ognuna un proprio problema che non si poteva impacchettare per farne un unico problema, con una soluzione estemporanea uguale per tutte.
Scrisse sul muro il suo testamento spirituale, suscitando lo sdegno del compagno della sua vita, che non voleva sentir parlare di ceneri e urne funerarie. Men che meno vederle scritte su quel muro.
METTETE LE MIE CENERI SOTTO IL MIO GELSOMINO
E SCRIVETE SULL’URNA: VIAGGIO’ TUTTA LA VITA
INTORNO A UN TAVOLO
E in tempi più recenti, qualcuno aggiunse un post scriptum:
SENZA PERALTRO COMBINARE UN CAVOLO
Chi era stato l’infame che aveva vergato la sacrilega riga? Il compagno della sua vita?
No. Era stata lei.
Lei, Brunella Gasperini.
Che sapeva prendersi in giro con grande ironia.
leggilo su Progetto Babele
grazie ho amato tantissimo questo libro!
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